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The Man Who Sold the World: immortale per due volte.

Aggiornamento: 17 nov 2020

Tentare di completarsi, di trovare la parte di sè tanto nascosta, coperta dai tratti caratteriali che invece sono abituati a essere esposti al mondo, letti e interpretati come la fotografia di noi stessi, è il risultato della consapevolezza di non essere ancora riusciti a mettere insieme ogni parte della propria persona.


Lascia un interrogativo, che ci pervade nel profondo, il discorso di Bowie per la BBC tenuto nel 1997 in cui spiega le sue difficoltà adolescenziali e le conseguenti problematiche nella gestione del successo, messe nere su bianco nel testo del fortunato brano “The Man Who Sold the World”, ottava traccia dell’omonimo album del cantautore glam - rock.


Si festeggiano oggi i 50 anni del singolo, il quale nonostante il passare degli anni, grazie agli arrangiamenti del chitarrista Mick Ronson e alla rinascita di Bowie stesso, reduce di un difficile periodo in cui, come ricorda il bassista Tony Visconti, faticava a trovare la voglia di comporre, rimarrà per sempre colmo di suoni nuovi, interpretabili in base alle proprie esigenze e alle risposte che si cercano.


Difficile da scordare l’esibizione live del 25 novembre 1995 agli MTV Europe Music Awards, in cui le luci soffuse tendenti al blu avvolgono Bowie in un incantesimo, confermato dalle parole che pian piano scivolano attraverso il pubblico incantato e sorpreso da piccole modifiche nella strumentale, adattata per l’occasione.


Ancora una volta la mistica figura si dimostra padrona del palco: maestosa ed esposta nel suo intero, piena di debolezze che toccano le anime in quella che si rivela una serata unica.


Nel corso dei seguenti decenni, non sono pochi gli artisti a reinterpretare il capolavoro: indimenticabile è la cover realizzata dal gruppo grunge Nirvana, suonata il 18 novembre 1993 all'MTV Unplugged di New York, concerto acustico simbolo della band grazie alla voce melanconica e fragile del frontman Kurt Cobain e all’accompagnamento di violoncello, che rende ulteriormente emozionanti i 14 brani in cui il trio, affiancato dal secondo chitarrista Pat Smear, si diletta.


Cobain rende ancora una volta immortale la ricerca di sè stessi, immergendosi per primo nel tentativo di interpellarsi e uscendone, solo dopo 3.48 minuti, con un resoconto che tutt’oggi ascoltiamo con l’illusione di aver compreso fino in fondo.


Ci sarà un tempo in cui potremo smettere di lottare con le voci interiori che proviamo a tacere?


“Who Knows? Not me”


- Margherita Dassisti

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